Un minuscolo organismo di circa un centinaio di nanometri sta mettendo a dura prova la resilienza della nostra società. Anche per questa pandemia possiamo dire “grazie sapiens“
Un milionesimo di millimetro
Mentre scrivo questo post un minuscolo organismo di circa un centinaio di nanometri sta mettendo a dura prova la resilienza della nostra società: il suo nome è Coronavirus o meglio COVID-19. Per renderci conto delle sue dimensioni prendiamo idealmente un millimetro di carta e tagliamolo in un milione di altri piccoli pezzettini.
Scherzi a parte, la situazione in Italia e nel resto del mondo è molto seria. Per dirla con un’unica parola: pandemia. Tutti a casa perché il rimedio migliore per contrastare il diffondersi dei contagi – e non mettere ulteriormente in crisi il sistema sanitario nazionale – è proprio il diminuire drasticamente sino ad annullare quasi totalmente il contatto con gli altri individui della nostra specie. Tutti a casa tranne chi è in prima linea in questa guerra biologica. A questo proposito permettetemi di ringraziare i medici, gli infermieri e tutte le persone che ogni giorno affrontano battaglie durissime.
Attualmente siamo in piena seconda ondata e prossimi alle vacanze natalizie. Molti dicono che ci sarà una terza ondata, il vaccino sembra essere disponibile e, entro pochi giorni, dovrebbe iniziare la campagna di vaccinazione in tutta Europa. Ne usciremo sicuramente, come e quando è ancora presto per dirlo: le stime più attendibili parlano di autunno 2021, altri parlano di un ritorno alla normalità non prima del 2022. Quello che però possiamo già dire è, ancora una volta, “grazie sapiens” per quello che sta accadendo.
“grazie sapiens“
Possiamo e dobbiamo dire “grazie sapiens” perché è la nostra specie che, grazie al suo modello di sviluppo, rende sempre più facile il cosiddetto “salto di specie” cioè il passaggio di virus da una specie animale non umana a noi esseri umani. La globalizzazione e i quasi 8 miliardi di persone che ora vivono su questo pianeta rendono poi semplice e veloce il diffondersi dei contagi, da qui epidemie e pandemie. In poche parole, la colpa è del nostro modello di sviluppo. Un modello di sviluppo globale che si basa su una crescita illimitata e incontrollata. Iniziato in sordina nella seconda metà del 1700 con l’avvento della macchina a vapore, questo modello si è poi rapidamente imposto subito dopo la seconda guerra mondiale, proseguendo tuttora a ritmi insostenibili. Massiccio sfruttamento delle risorse naturali, Inquinamento ambientale sempre più elevato, perdita di biodiversità, rapida crescita demografica, decisioni politiche sbagliate, sono solo alcune delle principali cause che dal 1950 in avanti fanno parte dello stile di vita umano.
Sulle cause dell’attuale pandemia, David Quammen, autore del celebre libro “Spillover“, ha rilasciato il 9 marzo 2020 una illuminante intervista (Wired.it). Altro interessante contributo in tal senso è quello scritto il 4 marzo 2020 da Mario Tozzi e pubblicato su La Stampa.
Sulla validità del nostro modello di sviluppo
Sulla validità del modello di sviluppo invece, in Italia se ne discute già da almeno cinquant’anni. Tutto ebbe inizio nel 1968, quando Aurelio Peccei fondò “The Club of Rome” e nel 1972, con alcuni suoi collaboratori, scrisse il famoso rapporto “The limits to growth“. Il rapporto, alle pagine 23-24 ci dice che (da “Aurelio Peccei e il Club di Roma: Gli studi sul futuro. Di Roberto Peccei, 2013”):
- Se la crescita delle grandezze principali che caratterizzano il mondo, come la popolazione oppure la disponibilità di alimenti, continua al presente livello, si arriverà a dei limiti che se oltrepassati porteranno a un collasso della popolazione e della capacità industriale del mondo;
- La crescita di questi parametri può però essere modificata, il che permetterebbe all’umanità di arrivare a un equilibrio ecologico ed economico sostenibile nel futuro;
- Se l’umanità decide di percorrere questa seconda strada, più presto si fa questo cambio di rotta, migliori saranno le probabilità di successo.
Di questi tre punti, solo il punto 1 trovò concreta realizzazione e, cosa ben più grave, dopo cinquant’anni è ancora tutto così. La Figura 1 mostra uno dei famosi grafici pubblicati nella versione italiana di “The limits to growth”. Le proiezioni fatte nel 1970 sono ancora attuali, con alcune piccole variazioni. Con la lettera “B” è tracciato l’indice di natalità approssimato (nascite per 1000 persone/anno), con la lettera “D” l’indice di mortalità approssimato e con la lettera “S” i servizi pro capite (in dollari equivalenti per persona/anno). In sostanza il grafico ci dice che
se non ci sbrighiamo ad applicare i punti 2 e 3 di cui sopra, il collasso dei sapiens è vicino
Aumenteranno i decessi e diminuiranno le nascite, si azzereranno quasi completamente le risorse naturali, la popolazione mondiale umana subirà un drastico ridimensionamento (causato da carestie, pandemie, guerre, eventi naturali estremi, n.d.r.) e poi chissà. Tutto nei prossimi 50-100 anni. Questa non è una visione catastrofista ma la cruda realtà dei dati. La linea verticale nera indica il momento in cui sono state fatte le proiezioni. La linea verticale rossa indica il momento attuale, già oltre il pericoloso incrocio fra diminuzione di risorse naturali e aumento della popolazione. Il necessario cambio di rotta auspicato da Aurelio Peccei non è ancora avvenuto e l’emergenza da COVID-19 ne è una stretta conseguenza.
Dopo “The limits to growth”
Lo Stockholm Resilience Centre (SRC) è un centro di ricerca internazionale che studia e sviluppa complessi sistemi socio-ecologici finalizzati a migliorare il benessere e la resilienza della nostra specie. Nel 2009 lo SRC ha iniziato uno studio per identificare i processi che regolano la stabilità e la resilienza del sistema terrestre. In sostanza, lo studio ha proposto nove processi e delimitato altrettanti “confini planetari” entro i quali l’umanità può continuare a svilupparsi e prosperare per le generazioni future. Oltrepassare i confini planetari aumenta il rischio di generare cambiamenti ambientali improvvisi e/o irreversibili su larga scala (Ecology and Society 14(2):32).
Lo studio dello SRC prosegue e nel 2015 viene pubblicato su Science un nuovo articolo dove gli Autori dichiarano che lo studio si è dimostrato ininfluente nello sviluppo della politica di sostenibilità globale. Ma il lavoro mette soprattutto in luce la necessità urgente di un nuovo modello di sviluppo che integri il continuo sviluppo delle società umane e il mantenimento del sistema terrestre in uno stato resiliente. Lo stato dei confini planetari di Figura 2a ci offre la possibilità di capire dove noi sapiens stiamo facendo più danno e con quale livello di rischio per la nostra stessa sopravvivenza. Il cerchio tratteggiato delimita il confine sostenibile (verde), oltrepassato il quale si passa ad una condizione di pericolosa incertezza (giallo) e successivamente ad una condizione di elevato rischio (arancione). I cicli bio-geo-chimici di fosforo (P) e azoto (N) e l’integrità della biosfera in termini di biodiversità sono già ampiamente in zona arancione.
Sostanzialmente gli studi dello SRC ci dicono che Aurelio Peccei e collaboratori avevano ragione.
Aggiornamento 2023 dei confini planetari
Nel settembre del 2023 SRC pubblica l’aggiornamento dei confini di cui alla figura 2a: le cose non vanno certo bene (Figura 2b). La tendenza riscontrata nel 2015 prosegue e 6 dei 9 limiti sono stati oltrepassati. Questa tendenza non fa che portarci verso un aumento del rischio di arrivare a cambiamenti ambientali irreversibili e globali. Questi confini devono intendersi soprattutto come una soglia critica oltre la quale gli ecosistemi di cui facciamo parte cambieranno drasticamente e forse, nel lungo periodo, noi non saremo in grado di adattarci. Niente catastrofismi, la realtà è questa, il tempo per virare verso modelli di sviluppo più sostenibili c’è ancora, ma le tempistiche e le priorità dettate dalla Cop28 appena conclusasi non sembrano offrire concrete garanzie in questo senso.
I 17 Goals della nostra vita
Gli sforzi fatti dai “sapiens scienziati” di tutto il mondo, per mezzo secolo, per sensibilizzare i “sapiens governatori” ad applicare un nuovo e condiviso modello globale di sviluppo sostenibile hanno dato scarsi risultati. Montagne di libri, milioni di articoli scientifici, centinaia di conferenze: tutto inutile.
Un ultimo esempio, l’appello “World Scientists’ Warning to Humanity: A Second Notice” firmato da 15.364 scienziati di ben 184 paesi e pubblicato nel 2017 su BioScience è stato considerato come una notizia di basso rilievo dai media di tutto il mondo e non ha destato il giusto interesse fra i governanti.
Un’iniziativa che sembra andare nella giusta direzione, anche se con troppa lentezza è quella delle Nazioni Unite con l’adozione dell’Agenda 2030, approvata il 25 settembre 2015 dall’Assemblea Generale (Figura 3). Con l’adozione dell’Agenda 2030 la comunità globale vuole porre fine alla povertà, proteggere il pianeta e assicurare prosperità a tutti entro il 2030 (fra 10 anni…). Il raggiungimento di questo vitale traguardo deve avvenire mediante la realizzazione di 17 ambiziosi obiettivi di sviluppo sostenibile. Questi sono i 17 Goals della nostra vita.
I 17 Goals della nostra vita, raffigurati nell’immagine a inizio post, sono dettagliatamente descritti in italiano su Wikipedia (evito quindi di allungare a dismisura questo post). Il punto sul loro stato di attuazione a livello nazionale viene fatto annualmente dall’ISTAT mediante un apposito Rapporto SDGs. Dall’ultimo Rapporto SDGs 2019 risulta che l’Italia si sta muovendo nella giusta direzione, ma in modo geograficamente non omogeneo, con molti ritardi e con troppe lacune. Ritardi e lacune si riscontrano anche a livello globale.
Per raggiungere i 17 Goals bisogna agire subito, a scala globale e tutti insieme
Bisogna agire subito riorganizzando la nostra “presenza” sulla Terra, applicando cioè un nuovo modello di sviluppo. Questo modello di sviluppo deve contenere tutti i 17 Goals dell’Agenda 2030. Per applicare questo nuovo modello è necessario cambiare radicalmente i nostri stili di vita. Nel cambiare i nostri stili di vita dobbiamo essere consapevoli che la crescita non è illimitata. Il raggiungimento di una buona qualità della vita da parte di tutti gli esseri umani non implica necessariamente che ci debba essere una rapida crescita e un costante consumo di risorse. È possibile crescere ed evolversi salvaguardando l’ambiente, garantendo adeguati spazi vitali alle specie vegetali e animali, utilizzando fonti energetiche rinnovabili, ed altro ancora, non dimenticando mai che “There is not a planet B”.
Riflessioni conclusive
Alle ore 22:30 del 31 dicembre del calendario cosmico di Carl Sagan la specie Homo sapiens ha iniziato il suo percorso evolutivo su questa “Gaia” Terra. Un percorso lungo circa 200.000 anni. Durante questo lungo percorso l’uomo ha sempre superato le difficoltà dimostrando una elevata resilienza e un ottimo spirito di adattamento (Brian Fagan, La lunga estate). Ora però, di fronte alla sfida forse più importante della sua storia, la specie Homo sapiens sembra non coglierne l’importanza.
Dal 1950 circa e per la prima volta sulla Terra, il mammifero di grossa taglia auto-proclamatosi sapiens è in grado di modificare il clima, l’ambiente e i cicli bio-geo-chimici a scala globale. Questo suo comportamento ha imposto una spaventosa accelerazione ai principali processi che regolano la biosfera portando alcuni di questi fuori dai confini planetari dello Stockholm Resilience Centre.
Per questa sua forte azione modificatrice dell’uomo sull’intero pianeta si può dire che dal 1950 in avanti la terra sia entrata in una nuova era: l’Antropocene.
Antropocene = grande accelerazione
Molti trend del sistema Terra (più acidificazione degli oceani, più perdita di foreste tropicali, più degradazione della biosfera, più produzione di ossidi nitrosi) e altrettanti trend socio-economici (più urbanizzazione, più popolazione, più consumo di fertilizzanti, più consumo di acqua, più trasporti) mettono in evidenza questa grande accelerazione. I dati e le prove scientifiche parlano chiaro (Steffen W. et al., 2015, The trajectory of the Anthropocene: The Great Acceleration).
Questa incontrollata accelerazione ci sta portando verso un punto di non ritorno. Ma a differnza di molti altri problemi che la nostra specie deve affrontare e di cui non ne conosce ancora la soluzione, in questo caso le soluzioni ci sono, mettiamole in pratica, ne va della nostra sopravvivenza su questa meravigliosa sfera verde-azzurra.
Una sfera verde-azzurra che, anche dopo aver subito cinque estinzioni di massa, è stata ogni volta in grado di evolversi raggiungendo sempre complessi equilibri ecologici e alti livelli di biodiversità. Ma la quinta estinzione ha favorito lo sviluppo di una specie che in poco tempo ha invertito la tendenza. Questa specie siamo noi. Stiamo diventando l’unica specie terrestre in grado di auto-estinguersi. La terra può fare a meno di noi, ma noi non possiamo fare a meno della Terra (Telmo Pievani, La Terra dopo di noi).
Come dice Greta “La nostra casa è in fiamme“. Sbrighiamoci dunque, perché non rimane più molto tempo, caro Homo sapiens…